TDH 2023: la Recoaro Marathon dell’Ingegner Costa

“Non ho abbastanza talento per correre e sorridere allo stesso tempo” diceva Emil Zatopek, campione olimpico a Helsinki 1952 nei 5.000, nei 10.000 e nella maratona. Io ne ho ancora molto e molto meno di talento, che neanche una volta arrivato al traguardo riesco a camuffare la smorfia di fatica in un accenno di sorriso 😊

Arrivo a Valdagno, foto di Federico Bruttomesso

Sabato 22 luglio 2023 parto per la mia quarta TDH Marathon. Nel 2019 la prima volta, quando si partiva ancora da Pian delle Fugazze, ma causa meteo avverso la direzione gara decide di deviare i partecipanti giù a Recoaro per evitare problemi: addio Cima Carega, sarà per un’altra volta ☹. Nel 2021 faccio il bis, però in autogestione per via del Covid, assieme a Sam; notte prima sulla tazza del bagno, poi non conoscendo il percorso (che non era segnato) ci saremo persi una decina di volte, tempo di percorrenza 10 ore o anche più, e non so quanti km e D+ abbiamo fatto per cercare la strada giusta. Infine, edizione “normale” nel 2022 con mental-coach Gae, prima partenza ufficiale da Recoaro: estate torrida dove anche a 2000 metri di altitudine alle 8 di mattino si soffre il caldo infernale.

Ed ora, per questo breve racconto della mia TDH Marathon 2023, vado con il mitico pagellone della giornata 😊

Voto 10: sicuramente ai volontari. Sembra banale ma loro sono lì per te mentre tu ti diverti (diciamo così, anche se non son sicuro che il termine “divertimento” descriva esattamente quello che provi in quelle ore fatte anche di stanchezza, qualche difficoltà e diversi smadonnamenti da scomunica – tipo espulsione per rosso diretto). Queste persone sono lì di notte e di giorno, con il sole a Campogrosso o all’ultimo ristoro a 7km dall’arrivo, in mezzo alle nuvole su a 2000 metri vicino al rifugio Fraccaroli o con impermeabili sotto il temporale, la pioggia e la grandine un po’ prima di Bocchetta Gabellele, o infine in mezzo ad un bosco scivolosissimo dopo Cima Marana a segnalarti da che parte scendere senza rischiare di romperti l’osso del collo. Chapeau!

Voto 10: a Federico Rossi. E chi è?

Io sono a 100 metri da Campogrosso, concludo la prima salita della gara, 8km e circa 900D+ dopo circa 1h e 20’ dalla partenza di Recoaro, e già ho la testa che pensa a mangiare un po’ di frutta e bere qualcosa, quando me lo vedo sfrecciare davanti in carrozzina. Partito anche lui da Recoaro, ci smena dentro di braccia su per la strada che porta a Campogrosso e “taglia” il suo traguardo davanti al ristoro e davanti ai miei occhi. Ecco, io un paio d’anni fa ho provato a salire con la bicicletta per la strada Recoaro-Merendaore-Campogrosso, e mi son dovuto fermare più volte per prender fiato e far riposare le gambe. Troppo ripida e troppa fatica. Federico Rossi, atleta ventottenne di Vicenza, con la sola forza delle braccia ce l’ha fatta stabilendo il suo PB (che mica era la prima volta che la faceva, eh?), e addirittura l’anno scorso ha anche raggiunto Passo dello Stelvio (25km, 48 tornanti, 1850D+ in 7 ore e 57 minuti): “Portare idealmente lassù tutti coloro che soffrono di disabilità molto più gravi e che non possono praticare alcuno sport”, ha dichiarato. Semplicemente un esempio di tenacia e motivazione! Campione!

Dal profilo Facebook di Federico Rossi

Voto 9: all’organizzazione. Dopo 12 anni e gestendo anche l’Ultrabericus, sanno il fatto loro. Si preoccupano tanto dei primi quanto degli ultimi, bravissimi. In spogliatoio a Valdagno qualcuno si lamentava perché il pacco gara è “minimalista” rispetto alla fatica fatta, soprattutto se lo si paragona a certi altri pacchi ben più abbondanti. Però in compenso tutto quello di cui hai bisogno per fare “il tuo viaggio” te lo mettono a disposizione con estrema competenza e gentilezza, e se proprio vogliamo fare i conti con il vil denaro, loro non ti chiedono 40 euro per 3 foto, ma tutto è gratuito con l’unica preghiera di citare l’autore dello scatto se mai decidessi di pubblicare sui social. L’essenziale è invisibile agli occhi, disse una volta una Volpe ad un Piccolo Principe, e non sta sicuramente in qualche gadget in più che archivieresti in un cassetto per anni prima di buttarlo. Super-Team!

Foto da Facebook, Trans D’Havet

Voto 8: al percorso. Va di pari passo con l’organizzazione e gli organizzatori. Va all’essenza del trail, e non fa sconti agli stradaioli come me che escono 2 o 3 volte alla settimana per farsi qualche km di bitume (come dicono i puristi della montagna). La salita su per il Boale dei Fondi è uno spettacolo: alzi la testa, vedi gente sopra di te e pensi che ti ci vorranno 20 minuti di sfaticata continua per arrivare dove son loro in quel momento. Certo che fare qualche salita cattiva o qualche discesa spacca-gambe con bella vista su strada bianca che ti corre non troppo lontano a volte ti fa andar via di testa, però “that’s life, that’s trail”, o detta in altro modo “hai voluto la bicicletta, adesso… mena di gambe”. DAJE!

Foto di Nadia Pietrobelli

Voto 7 ½: alla minestra di brodo caldo con pasta degli Alpini. Meriterebbe un dieci e lode, ma devo scendere un po’ alla volta con i voti sennò non finisco più. Al Rifugio Scalorbi la mangio più per tradizione che per necessità. Invece al 28km arrivo al ristoro di Malga Campo D’Avanti, dopo un temporale con tanto di pioggia e grandine, e capisco che qualcosa non va perché lo stomaco è chiuso e non mi va neanche di bere un sorso d’acqua. Mangio un pezzo di pane e prosciutto e mi vien da vomitare. Allora opto per il brodino caldo, e lì succede il miracolo. Stomaco sistemato, pancia felice, mangio qualcos’altro di piccolo taglio al volo e riparto. Al successivo ristoro mangio come un leone. Brodo santo subito.

Voto 6+: a me. Non è che abbia fatto una super prestazione, anzi non è neanche da andare in giro a vantarsene. 7 ore e 50’ è poca roba rispetto a gente che fa girare gambe e braccia in salita e in discesa come se non ci fosse un domani. Però ero partito meno convinto di altre volte, e rispetto all’anno scorso mancavano i lunghi che avevo fatto coi folgorati de La Folgorante in preparazione di Cortina. Quest’anno solo roba corta, un 30 km a inizio giugno e 16km con 900D+ a inizio luglio. Basta! Invece son riuscito ad arrivare in fondo, a gustarmi gli ultimi km senza morire (che non era mai successo prima), e a migliorare l’anno scorso (quando però, a dirla tutta, si era corso con un caldo fotonico che sulle pietre del Boale dei Fondi ci potevi cucinare le uova). Bravino a me 😊.

Arrivo a Campogrosso, foto di Enrico Merlo

Voto 5 ½: al meteo. In rigoroso ordine cronologico: si parte da Recoaro con una bella temperatura e un sole che si fa un gran ben volere. Al Fraccaroli si arriva in mezzo alle nuvole e un po’ di freddo, meglio andar via il prima possibile dal Carega che non si sa mai. Dopo Rifugio Scalorbi si sentono i primi tuoni e le prime gocce, e al Passo Zevola arriva un temporalone di pioggia e grandine che ti batte in testa. Per poi arrivare al Rifugio Gingerino (e da lì in poi) col sole. Ok che d’estate il meteo è variabile in montagna, si sa, ma la grandinata è stata una vera sassaiola. Meteo hooligans

Voto 4: alla mia coerenza di dire basta! Mai più! mentre scendo da Cima Marana, e dopo due ore trovarmi a pensare a dove e come poter limare qualche altro minuto l’anno prossimo, in modo da abbassare ancora un po’ il tempo gara. Quindi faccio mia questa frase, ripensando alle eresie mentre scendevo con non pochi problemi: “Le persone sono dove sono perché lì è esattamente dove volevano essere, sia che lo ammettano oppure no” (cit.). Saggezza

Voto 3: all’idea di ripararsi dalla grandine sotto un albero (in mezzo ad un temporale in montagna). Ecco, a mente lucida non penso sia stata una grande idea, ma eravamo in 3 disgraziati su un passo montano, senza alcuna possibilità di trovare riparo. Avevo il berretto da sole coperto dal cappuccio della mantella anti-pioggia, eppure arrivavano di quelle legnate in testa e viso… Coprirsi volto e capo con le mani ancor di meno, perché era come prenderle a bacchettate. Quindi che si fa? Avremo sostato solo cinque minuti sotto quei rami, e appena cessata la grandine siamo andati via, nonostante la fitta pioggia. Non so cosa sarebbe stato meglio fare, forse sfilarsi lo zaino, coprirsi la testa e cercare di proseguire… insomma, con molta probabilità non abbiamo fatto la mossa migliore. Amen

Voto 2: entriamo nel podio (alla rovescia), il tutto grazie al temporalone (ne ho già parlato, vero?). Iniziamo la salita al Monte Campetto, subito prima di arrivare al Rifugio Gingerino (sopra Recoaro 1000, per intenderci). Già quel tratto di sentiero è una bastardata unica, sadismo montano puro: la strada bianca ti corre lì vicino, la vedi molto bene, eppure tu ti devi distruggere quel che resta delle gambe in una salita corta ma che toglie il fiato (non oso pensare a chi la fa nella TDH integrale). In più il temporale aveva reso il sentiero uno scivolo di fango: riuscite ad immaginare il risalire uno scivolo con l’acqua dentro al contrario? Ad un certo punto mi fermo e mi chiedo come fare per togliermi da quel posto infame, e comincio a puntellarmi dietro la schiena con i bastoncini ad ogni passo. Una fatica monstre e i primi pensieri impuri di non iscrivermi mai più alla TDH cominciano ad annebbiarmi la mente (anche della coerenza ne ho già scritto, vero?). Aquapark!

Voto 1: cosa ci potrà mai essere di peggio di uno scivolo molto scivoloso da risalire (altrimenti, se non è scivoloso, che diavolo di scivolo è)? Ovviamente una discesadimmerda fatta di fango, foglie, radici e qualche roccia che spunta di qua e di là. Io e la discesa da Cima Marana non è che non ci amiamo, semplicemente ci detestiamo alla morte. È per gli specialisti della montagna, chi va a farsi le corse alla sera per il centro di Thiene è lontano come Andromeda dalla Terra da quel tipo di sforzo fisico lì. Insomma, a Cima Marana ci fanno le raccomandazioni di andarci piano, che se ti fai male in quella discesa non so chi e con quale mezzo possa riuscire a raggiungerti per prestarti soccorso. Inoltre, verso la fine della discesadimmerda, 2 volontari ti chiedono di prestar loro attenzione che ti spiegano dove mettere i piedi per provare a non romperti qualche osso. Insomma, se vado piano in salita, in quella discesa dovevo sembrare davvero un imbranato, ma l’idea di cadere e farmi male mi aveva veramente preso gambe, stomaco e soprattutto …. testa. Stambecco scansati!

Voto 0: al mio triplo carpiato con avvitamento. Dicevo che l’idea di cadere mi aveva preso gambe, stomaco e testa? Ecco, quando pensi troppo ad una cosa, questa alla fine… accade. Beh, non è che succeda sempre, anzi io penso a molte cose che continuano a non avverarsi, ma alla fine il capitombolo arriva davvero. Le scarpe su una discesa fangosa non tengono, i bastoncini puntellati non mi aiutano, e ovviamente sotto al fondoschiena mi ritrovo uno spuntone di roccia che mi fa vedere le stelle. Idem per l’avambraccio sinistro, che testimonia la caduta rovinosa, e l’unghia del pollice destro che si rompe. Ecco, tra queste tre cose, la più piccola, la più insignificante…. insomma… l’unghia rotta! è quella che mi provoca un male così forte da chiamare per nome i santi patroni della provincia. Mi rialzo, riprendo a scendere, rischiando altre dieci volte altrettante cadute rovinose, ma alla fine la discesadimmerda diventa un sentiero camminabile, e poi corribile. Pellaccia salva anche stavolta. Miracolato!

Fatta! Finalmente Valdagno. E arrivare prima delle 16.00 è una bella soddisfazione, perché è pieno di gente, c’è il tempo di riposarsi, fare 2 chiacchiere con un ex collega trovato per caso tra il pubblico, farsi una bella doccia (rigorosamente fredda, perché dopo tutta sta fatica lo avrai temprato almeno un po’ il fisico, o no?) e rientrare a casa ad un orario più che dignitoso.

Mission Accomplished, come direbbero quelli al di là dell’oceano. E all’anno prossimo… o avevo deciso di no? Mah

Selfie al Palasport di Valdagno, prima della partenza, ore 6.15

Scritto da Paolo

Nel frattempo siamo partiti con la campagna Occhio al Nikio 2023: non ci fate ruzzolare anche qui, aiutateci! Occhio al Nikio

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